Quando si avvia una startup, pochi temi risultano tanto delicati quanto la gestione dell’equity: quel prezioso capitale motivazionale destinato a far crescere l’azienda e premiare chi vi investe tempo e risorse. Tra i principali pericoli che minacciano le startup esiste la dead equity, che riveste un ruolo spesso sottovalutato.
Questo fenomeno si verifica quando quote di capitale restano in mani che non apportano più valore attivo all’impresa, minando l’allineamento degli interessi interni e la capacità di attrarre nuovi investimenti.
1. Cos’è la Dead Equity
La Dead Equity nasce dal disallineamento tra possesso di quote e contributo all’azienda. Si tratta di partecipazioni detenute da soci che:
- hanno lasciato il progetto, continuando però a detenere le proprie azioni o quote.
- hanno finanziato la prima fase ma non sono più coinvolti nello sviluppo, in termini di know‑how, networking o ulteriori investimenti.
- non partecipano alle successive tornate di finanziamento, pur mantenendo diritti economici e di voto.
Queste quote inerti non solo diluiscono il potenziale upside di chi, invece, continua a guidare con impegno l’impresa, ma diventano un ostacolo sia nei processi decisionali sia nelle future operazioni di raccolta fondi.
2. Come si genera la Dead Equity
Spesso la dead equity emerge da condizioni contrattuali non adeguate o dalla mancanza di strumenti di governance attiva.
Immaginiamo, ad esempio, un co‑founder che decide di lasciare la startup dopo un anno: se non è previsto un meccanismo di vesting stringente o di buy‑back, le sue quote rimangono in capo a lui, a prescindere dal contributo effettivo prestato.
Allo stesso modo, investitori passivi, attratti dalla promessa di un rendimento futuro, possono detenere quote significative senza partecipare alle successive fasi di sviluppo né al supporto strategico, lasciando l’azienda con un capitale bloccato e scarsamente valorizzato.
3. Le conseguenze per la crescita e il fund raising
Quando la dead equity permea la struttura proprietaria, le ripercussioni si manifestano su più livelli, ostacolando non solo la motivazione interna, ma anche la capacità di attrarre e gestire nuovi investimenti.
3.1 Dead equity e la diluizione ingiusta
n primo luogo, sul fronte del team operativo, emerge una diluzione ingiusta: coloro che lavorano quotidianamente per raggiungere obiettivi ambiziosi vedono progressivamente ridursi la propria quota di partecipazione economica.
Questo effetto, oltre a intaccare il morale, può compromettere la retention dei talenti, poiché il potenziale premiato dall’exit diventa meno significativo.
3.2 Dead Equity e nuove emissioni azionarie
L’allocazione di risorse per nuovi round di finanziamento diventa una sfida.
Le quote “bloccate” in capo a soci inattivi generano complicazioni nelle nuove emissioni azionarie, rallentando le negoziazioni e imponendo clausole più complesse per ricomporre la cap table.
Il risultato è un allungamento dei tempi di chiusura dei round e un aumento dei costi legali e amministrativi.
3.3 L’importanza della governance
Soci non più operativi possono esercitare diritti di voto o richiedere assemblee, creando ritardi nelle delibere strategiche.
In situazioni critiche, come la necessità di approvare budget per l’espansione o per acquisizioni, questi rallentamenti possono tradursi in opportunità perse o in una riduzione della competitività sul mercato.
3.4 La percezione di rischio
La percezione esterna di un’equity non efficacemente gestita genera segnali di rischio.
Gli investitori istituzionali, valutando la solidità contrattuale e l’efficienza nella governance, interpretano un alto livello di dead equity come un campanello d’allarme: la presenza di quote inattive suggerisce potenziali conflitti interni e una minore agilità nell’adozione di decisioni chiave, riducendo l’attrattiva dell’investimento.
4. Strategie di prevenzione al Dead Equity
Affrontare la dead equity richiede un approccio strutturato e multifocale:
- innanzitutto definire contratti e patti parasociali con clausole stringenti che regolino vesting, buy-back e diritti di voto.
- in secondo luogo istituire un sistema di monitoraggio regolare, con audit semestrali della cap table e indicatori di performance per valutare il contributo effettivo di soci e collaboratori.
- infine, implementare meccanismi di governance e reportistica trasparente che coinvolgano attivamente il board e gli investitori, garantendo un allineamento continuo tra interessi individuali e obiettivi societari.
4.1 Vesting e claw-back
Un piano di vesting progressivo, solitamente in un orizzonte di 4 anni, assicura che quote significative vengano maturate solo in caso di contributo prolungato.
Le clausole di claw‑back, inoltre, permettono alla società di recuperare le quote non ancora maturate qualora un co‑founder o un dipendente chiave abbandoni prematuramente.
4.2 Buy-Back agreement
Inserire nei patti sociali il diritto per la società o per gli altri soci di riacquistare le quote di chi non è più operativo consente di liberare equity in modo ordinato.
È fondamentale definire chiaramente i trigger event, dalle dimissioni volontarie al mancato raggiungimento di obiettivi, e stabilire formule di valutazione trasparenti.
4.3 Revisione periodica della cap table
Un audit semestrale o annuale della cap table è uno strumento di governance che permette di individuare quote inattive e avere il polso dello stato patrimoniale dell’azienda.
Le azioni liberate possono essere riallocate a nuovi talenti o utilizzate come leve negoziali con investitori strategici.
5. Consigli per i founder
Per un founder, redigere patti parasociali solidi e prevedere fin da subito meccanismi di vesting e buy‑back è fondamentale per garantire trasparenza e tutela: un ecosistema ben governato attrae investitori di qualità e rinsalda il commitment del team.
Dall’altro lato, un investitore attento valuta non solo le metriche di business, ma anche la struttura dell’equity e i meccanismi di governance, come indicatori chiave per mitigare rischi e conflitti.
Conclusioni
La dead equity non è semplicemente un problema numerico di partecipazioni, ma un sintomo di fragilità contrattuale e di governance.
Contrastarla significa proteggere la motivazione dei team, facilitare la raccolta di capitali e assicurare decisioni rapide e condivise.
Implementare strumenti di vesting, claw‑back, buy‑back e governance attiva, accompagnati da una revisione regolare della cap table, consente di mantenere l’equity viva e funzionale agli obiettivi di crescita di lungo termine.